The End
Trovare il modo perfetto per
mettere un punto finale ad una storia vissuta fin nelle viscere è un’impresa, che
si può comprendere soltanto se si conosce il fantasy.
Calarsi nella dimensione di Dio non è facile.
“Non parlo per tutti, in questo blog esprimo soltanto i pensieri
che costruiscono le parole che uso io!”
È più facile fantasticare una storia attorno ad un
personaggio virtuoso, spesso indipendente dal cosiddetto main-stream. Ma poi,
come riflesso della nostra società, finiamo per punirlo; anzi finiamo per
preferirlo ad un altro personaggio: che come un animale allo zoo, è bello da
vedere perché rimane dentro la sua gabbia.
“Il fanatico non odia l’infedele quanto odia un eretico
all'interno del tempio”.
In questo tempo siamo spinti ad avere posizioni moderate e a
voler per personaggi degli animali da zoo.
È un tempo che non premia la veemenza, l’indipendenza, ma la
lealtà. E quindi le storie che scriviamo devono essere più aderenti possibile al
“main-stream”.
Riflettendo su quanto appena espresso mi è saltato alla
mente il concetto di società tribale.
Chiamiamola famiglia, squadra, corrente, ognuno di noi è
obbligato a scegliere da che parte stare, con chi stare, e soprattutto è
obbligato ad essere “All in One”.
La società tribale è priva di un potere centrale. In essa vi
è una figura preminente, quella del Big Men, e alcuni gruppi corporati. Nella
maggior parte dei casi, nella società tribale, le decisioni sono prese a
sorteggio, attraverso una prova di forza o di sopportazione e tutte le
relazioni sono decise a tavolino. I figli appartengono alla comunità.
Ragionando in questi termini ho avuto un sussulto, pensando
al nostro tempo e ai travagli che stiamo vivendo.
Tuttavia, devo ammettere che amo il vivere al di fuori del
tempo di queste società.
Cosa c’entra tutto questo con il “The End” di un romanzo?
Lo scrittore è il Big Men di una società tribale in un
non tempo.
Però, nessun scrittore ha le mani
libere dai temi della società.
“Il taglio letterario o
interpretazione di una organizzazione sociale, è quella sagoma che si
intravvede da un manto cucito col filo della cultura personale”.
Sul tema però vale la pena aprire
un’altra finestra di discussione, in quanto credo che ci sia un’evoluzione che rende
lo scrittore totalmente indipendente da se stesso. Ne riparleremo.
Nella guerra tribale di questo nostro tempo vige la regola
del “O tutto o niente!”
Tuttavia, credo che a questa
società manchi una visione globale.
È come se l’uomo d’oggi si
sentisse Dio, ma fosse totalmente incapace di avere un disegno preciso sulla
propria vita.
“Nessuno può avere la certezza
di come andrà a finire.”
La stessa insicurezza ce l’ha lo
scrittore.
Io non amo i “The End”, perché la
fine impone una scelta.
Scrivere un finale porta a dover
decidere da che parte stare. Ed il lavoro che porta a prendere tale decisione è
imponente. Bisogna semplificare, fare ordine e avere disciplina per arrivare
alla fine, in modo graduale.
Non si tratta di avere
coraggio, bensì di avere un progetto.
Un progetto impone una visione
chiara su ciò che si vuole raccontare.
Un progetto esige di avere la
forza di rialzarsi quando si fallisce, attraverso i personaggi. Insomma, un
pacchetto completo, come per la vita.
Se si accettano queste condizioni
il “The End” diventa una grande sofferenza prima della liberazione, da
qualsiasi tipo di società imposta, accettata o sovvertita.
Dovremmo essere tutti scrittori,
per avere il giusto punto d’osservazione.
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