Post-trauma Covid-19
Il covid-19 è paragonabile al
peggiore dei traumi che la nostra memoria possa ricordare, semplicemente perché
ci tocca da vicino, ci isola, ci obbliga a rompere le riga; e se non bastasse è
un trauma globale, è cosa che il mondo conosce nello stesso tempo e nello stesso
modo, attraverso la morte. Il covid-19 è un trauma che condividiamo.
Una morte traumatica, prematura,
una vita spezzata segna il futuro di colui che “c’era” e ce l’ha fatta a
sopravvivere. Ma una morte da covid-19 ci lascia la sensazione che tutto possa
ridursi a solitudine, a rottura con gli affetti, ad allontanamento nel corpo e
nello spirito, a perdita della memoria storica; almeno per i primi momenti, la
morte da covid-19 è qualcosa che non credo possa ancora essere descritto in
letteratura.
L’ateo è portato a dire, “La
vita va avanti”. Il cinico dice “The show must go on”.
Tutto è perennemente in
movimento, questo è vero, ma un trauma di tale portata interrompe un percorso,
un progetto di vita. Vi è una frattura che deve essere codificata, perché questo
trauma mette in discussione la concezione della vita stessa, così come
impostata fin dall'inizio. Il nostro essere comunità. La rete di cui godiamo
per evolvere socialmente. Le stesse amicizie storiche assumono un aspetto
diverso, perché diverso è il modo in cui guardiamo fuori dalla finestra della
nostra “casa”.
Il cambiamento repentino porta ad
una serie di cambiamenti repentini e ciò genera caos.
Il caos del cambiamento ci
oscura la ragione, mette in subbuglio il cuore, eppure la nostra psiche
interiore conosce la nuova via, già tracciata secondo gli algoritmi dell’universo.
Il cambiamento ci confonde e
percuote perché inarrestabile, almeno fino a quando un nuovo equilibrio viene a
formarsi. Qualcosa però si muove dentro di noi.
E se vi dicessi che quel
qualcosa si chiama “paura”?
La paura ci precede, come se
avesse un’intelligenza autonoma. Essa conosce meglio di noi il cosiddetto
protocollo. Lei ci mostra gli ostacoli che dobbiamo superare, e sebbene la reazione
all'ostacolo varia da persona a persona, come se qualcuno fosse più predisposto
a reagire rispetto ad altri; la paura conosce prima di noi dove dobbiamo
arrivare, ognuno secondo il proprio schema personale.
Noi tutti abbiamo bisogno di
immaginarci impavidi cavalieri che non temono il drago, anzi lo cavalcano, e
che se ne infischiano anche della ricompensa, poiché hanno una missione.
In questo momento credo che la paura non debba essere considerata il drago da sconfiggere.
Essa è soltanto l’alter ego del mondo,
che si esprime in modo caotico perché chi genera paura ha bisogno di generare
caos ed il mondo reagisce secondo le proprie “regole” auree.
La paura di fare brutta figura. La
paura della malattia. La paura di incontrare una persona diversa per idee e
stile di vita. La paura di avvicinarci l’uno all'altro, e basta.
Il mio consiglio, non richiesto,
non di valore, è questo: “Diamo alle nostre paure un’occasione”.
Ciò a cui mi riferisco è la
capacità di crescere nonostante tutto, nonostante la paura, nonostante gli
ostacoli. Da soli.
E qui entra in ballo la
creatività, anche se spesso non è altro che sperimentazione, ricerca di noi,
consapevolezza. Il come affrontare i propri demoni a viso aperto,
incontrandoli, attraversandoli.
Il nostro bambino interiore ha
già in serbo un volto differente per la paura. E quindi, in questi momenti
dobbiamo tornare bambini. Dirlo non è un cliché.
La creatività ci rimette in
pista. Ci dà una nuova chiave di lettura. Ci permette di imparare ad esprimere
bisogni e desideri. Ci aiuta ad esplorare. Ci fornisce del coraggio necessario
per partire.
Quando devo affrontare una corsa
faticosa amo dire, “Io ho già vinto, adesso, nel momento in cui parto”, perché
non ho paura di affrontare la montagna. Il drago/paura ( che è coraggio e
montagna ) mi aiuterà.
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